Il 18 novembre 2021 è stata emessa una nuova sentenza della CGUE a favore dei Frankovich. Questa è la terza sentenza della CGUE emessa in casi di affrancatura in Polonia. Quali domande sono state poste alla CGUE e come la Corte ha risposto? Trovate la risposta nell’articolo qui sotto!
Il Tribunale distrettuale di Varsavia-Wola ha sottoposto alla CGUE due questioni:
Se la risposta alla prima domanda è affermativa, il Tribunale distrettuale di Varsavia-Wola pone anche la seconda domanda:
La risposta della CGUE alla prima questione chiarisce che: “Articolo 5 della Direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993. sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori deve essere interpretato nel senso che la formulazione di una clausola di un contratto di credito tra un professionista e un consumatore che fissa il prezzo di acquisto e di vendita della valuta estera a cui il credito è indicizzato deve, sulla base di criteri chiari e comprensibili, consentire a un consumatore ragionevolmente informato e ragionevolmente attento e avveduto di comprendere come deve essere determinato il tasso di cambio applicabile ai fini del calcolo dell’importo delle rate del credito, in modo tale che il consumatore sia in grado in qualsiasi momento di verificare autonomamente il tasso di cambio applicato dal professionista”.
Come si può notare, la CGUE chiarisce che le disposizioni di un contratto di credito che riguardano l’indicizzazione devono essere redatte in modo trasparente. Inoltre, è necessario che specifichino, in un linguaggio comprensibile a tutti, il metodo oggettivo di determinazione del tasso di cambio. In questo modo ogni mutuatario è in grado di determinare autonomamente il tasso di cambio applicabile in un determinato giorno.
Ancora una volta, quindi, possiamo constatare che la Corte di giustizia dell’Unione europea si schiera dalla parte dei mutuatari che hanno ripetutamente richiamato l’attenzione delle banche sulla natura vietata delle clausole di conversione da esse utilizzate nei cosiddetti accordi di affrancamento. Questo perché tali clausole definivano le regole per la fissazione del tasso di cambio in un modo noto solo a loro stessi e non facevano riferimento a criteri oggettivi. Si tratta di un passo importante per aiutare i mutuatari francofoni!
Sebbene la risposta della CGUE alla prima domanda sia stata negativa, la Corte ha deciso di affrontare anche la seconda. La sua posizione in merito è la seguente:
“Gli articoli 5 e 6 della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che ostano a che un giudice nazionale, che abbia accertato il carattere abusivo di una clausola di un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, interpreti tale clausola in modo da attenuarne il carattere abusivo, anche se una siffatta interpretazione corrisponderebbe alla comune volontà delle parti”.
Nella sua risposta, la CGUE ha fatto riferimento alla motivazione della sentenza del 29 aprile 2021 nella causa C-19/20, che comprendeva una spiegazione molto dettagliata del fatto che, in una situazione in cui “un giudice nazionale potrebbe modificare il contenuto delle clausole abusive in tali contratti, tale potere potrebbe mettere a rischio l’obiettivo a lungo termine stabilito nell’articolo 7 della direttiva 93/13″. Infatti, tale potere contribuirebbe ad eliminare l’effetto deterrente sui professionisti, attraverso la mera non applicazione di tali clausole abusive ai consumatori, in quanto questi ultimi sarebbero ancora in grado di percepire un vantaggio nell’applicazione delle clausole in questione, sapendo che, anche se dovessero essere invalidate, il contratto potrebbe comunque essere integrato nella misura necessaria dal giudice nazionale, in modo da garantire l’interesse dei professionisti in questione”.
Pertanto, la CGUE ha respinto l’argomentazione delle banche secondo la quale era possibile per il giudice integrare le clausole contrattuali vietate facendo riferimento alla disposizione dell’articolo 65 del Codice Civile, una norma generale contenente regole per l’interpretazione delle dichiarazioni di intenti. I prestatori hanno finora indicato che, in accordo con la volontà delle parti, i rimborsi dei prestiti dovrebbero essere regolati in base al valore di mercato della valuta estera, invece di utilizzare meccanismi di conversione abusivi sviluppati dalle banche.
Tuttavia, in una sentenza, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha negato che, in caso di clausola di valorizzazione difettosa, un giudice possa – attraverso un’interpretazione appropriata – cercare di mitigarne l’iniquità, anche quando ciò corrisponde alla volontà delle parti. Si tratta di un’informazione molto importante che contribuirà certamente a risolvere positivamente i casi di affrancatura a favore dei mutuatari e delle imprese. assistenza per chi è indebitato.